George Grey
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
è una barca che anela al mare eppure lo teme.
Antologia di Spoon River- E. Lee Master
A pronunciare queste parole è l’anima di George Gray, personaggio dell’Antologia di Spoon River. In pochi versi egli ci svela come il proprio rapporto con l’errore e la paura di incorrere in conseguenze inaspettate lo abbiano costretto ad una vita anonima, priva di scelte e per questo priva di significato.
Il nostro rapporto con l’errore influenza silenziosamente molti aspetti della nostra vita, soprattutto le nostre decisioni.
Se ti chiedessi: “Che cos’è per te l’errore?” come risponderesti?
Probabilmente diresti: “L’errore è qualcosa di umano e dopotutto è proprio sbagliando che si impara”.
Ok, colpa mia. Ho formulato male la domanda, ci riprovo.
Ripensa all’ultima volta che hai commesso un errore: una multa presa per un divieto di sosta che proprio non avevi visto, un commento del tuo capo insoddisfatto del lavoro che hai appena consegnato. Come ti sei sentito? Che cosa hai fatto? Che cosa ti sei detto?
Di’ la verità: hai davvero fatto spallucce dicendoti che sbagliare è umano e che grazie a questa esperienza la prossima volta farai meglio? Oppure ti sei arrabbiat* con te stess*, hai rimuginato tutto il pomeriggio su che cosa avresti dovuto fare e non hai fatto o su come potrai apparire adesso agli occhi degli altri?
Il modo in cui agisci e reagisci di fronte all’errore svela il significato che esso rappresenta per te. Solo nell’esperienza pratica può emergere il nostro reale atteggiamento di fronte all’errore.
Mi rivolgo adesso ai genitori, agli insegnanti e a tutti coloro che a vario titolo si interfacciano con il mondo dell’infanzia. Comprendere il nostro vissuto emotivo di fronte agli sbagli, nostri e altrui, è indispensabile se vogliamo aiutare un* bambin* a sviluppare un’esperienza serena dell’errore.
I bambini infatti, più che ascoltarci, ci osservano e per questo è nostro dovere domandarci quanto siamo autentici nel momento in cui ripetiamo loro come un mantra “sbagliando si impara”. In altri termini: lo diciamo, certo, ma ci crediamo davvero?
Se tu* figli* ha appena portato a casa un 4 in matematica, puoi dire che non fa niente, che certamente recupererà, ma se nella quotidianità la tua reazione agli sbagli è un lamento disperato ed intriso di senso di colpa, sarà questo il messaggio prevalente che passerà.
E allora ti chiedo di nuovo:
Che cos’è veramente per te un errore? Una macchia indelebile da portarsi sulle spalle, nel migliore dei casi espiabile con una punizione o un vissuto di colpa; oppure un’occasione di crescita, un’ apertura verso qualcosa di nuovo, un incontro fecondo con l’altro?
Cosa intendo dire? Facciamo riferimento all’esperienza. Sbagliando sul lavoro puoi trovarti nella condizione di chiedere aiuto ad un* collega più espert* dando luogo ad una collaborazione proficua, imparando qualcosa che altrimenti non avresti avuto occasione di apprendere.
E ancora, nell’errore puoi trovarti a gestire conseguenze che non avresti mai immaginato, acquisendo così un’esperienza pratica che da ora in avanti sarà parte di te.
Non fraintendermi: la paura di sbagliare non è un’emozione da eliminare. E’ un vissuto normale e sano. Se presente in una giusta misura, essa è ciò che fa riflettere prima di agire, ciò che spinge ad informarsi e a migliorarsi per far fronte alle proprie mancanze.
La pura di sbagliare diventa un problema quando conduce all’immobilità. Lo spiegata bene Goerge Gray che descrive la propria vita come una barca dalle vele perennemente ammainate. Con le vele ammainate non si può viaggiare.
La nostra esistenza è movimento e la paura che paralizza lo arresta.
Che senso ha questa immobilità, perché accade? Pensa ad un progetto a cui tieni molto. Nella tua testa lo vedi già realizzato, bellissimo e magari capace di svoltarti la vita. Ci tieni proprio che sia perfetto. Ed eccola là, la parola cardine: “perfezione”. Come può un progetto reale essere perfetto? Sicuramente lo è fino a che è rimane nel reame ideale della tua immaginazione ed è solo quando cominci a realizzarlo che esso si “sporca” con le difficoltà, i vincoli ed i compromessi della realtà. Dunque ti ritrovi a procrastinare, rimandi aspettando il momento migliore, quello in cui avrai tutto sotto controllo. E’ questo il senso di quell’immobilità di cui ti parlavo: aspettare il momento in cui si è sicuri al 100% di non incorrere nell’errore.
Credo di non doverti convincere del fatto che quel momento non arriverà mai e che è meglio un progetto realizzato e perfettibile che uno perfetto ma esistente solo nella tua immaginazione.
L’esperienza dell’errore con tutti i correlati emotivi che essa porta con sé è fondamentale per la crescita personale, non solo quando siamo bambini ma nell’arco di tutta la nostra vita. Esperire l’errore non significa semplicemente imparare che “quella cosa non si fa” ma intravedere la possibilità di raggiungere grazie ad esso una forma migliore di noi stessi.
Commettere sbagli ci aiuta a comprendere che possiamo sopravvivere ad essi e quando gli errori avvengono in un contesto relazionale ci mettono in una condizione di apertura e di scambio nei confronti dell’altro. E sì, talvolta l’altro può giudicarci (e magari questo non dipende da noi, bensì dal suo rapporto con l’errore!) ma se guardiamo bene possiamo scoprire che l’altro può anche comprenderci, tenderci una mano e, addirittura, perdonarci.